Riflessioni su “Il pianoforte a quattro mani”
- Pubblicato da Adolfo Capitelli
- il 9 Giugno 2013
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- Pianoforte a quattro mani
Dallo scorso ottobre 2011, ho iniziato ad affiancare alla mia attività di pianista solista e da camera quella di pianista in formazione a quattro mani. Tutto ha avuto inizio, quasi per gioco. Un pianista solista è costretto dal suo ruolo a passare molte ore al giorno sul proprio strumento in completa solitudine. Ho spesso “invidiato” gli strumentisti ad arco proprio per questo motivo… loro, spesso, hanno la possibilità di studiare in gruppo, ed al piacere del risultato artistico si accompagnava il bello di essere in compagnia, parlare, discutere, scherzare e poter condividere la propria passione. Ho pensato allora che anche un pianista, suonando a quattro mani o in duo pianistico poteva però riservarsi anche questo “lusso” e così insieme ad un mio caro collega abbiamo iniziato a suonare, inizialmente a scopo puramente ludico ed infine con obiettivi professionali. Ebbene mi preme oggi rivalutare tale formazione e mettere in evidenza il grande ruolo che può rivestire ed ha rivestito in passato nel contesto sociale. E’ innanzitutto una formazione unica, in quanto nessun altro strumentista può condividere il suo stesso strumento con un collega; in tal modo diventa un rapporto quasi identico a quello coniugale: bisogna condividere uno stesso spazio, bisogna sapersi adattare alle esigenze fisiche, morali e spirituali dell’altro, spesso si creano “contrasti” che poi si ricompongono e rafforzano la situazione in atto, infine si condivide uno stesso amore, in tal caso quello per la musica!
Tale formazione ebbe come repertorio iniziale composizioni per lo più destinate a pianisti di vario livello tecnico, usate soprattutto come strumento didattico-educativo per avvicinare i giovani pianisti in modo ludico alla musica e alla pratica della musica d’insieme. Nonostante queste radici poco illustri, tale formazione ebbe a partire dal XIX secolo un ruolo determinante per la veicolazione della musica sinfonica e operistica in ogni dove. Senza l’ausilio della trascrizione, quasi sempre per pianoforte, non ci sarebbe mai stata una diffusione capillare dei grandi capolavori, essendoci spesso necessità logistiche che non permettevano l’utilizzo di orchestre sinfoniche o di un teatro lirico; fu così che grazie a tale pratica la musica sinfonica si introdusse nei grandi salotti ottocenteschi e permise una rapida conoscenza dell’opera anche in paesi lontani da quelli dove l’opera stessa era stata concepita. Molti dei grandi compositori (Mozart, Beethoven, Schubert, Brahms ed altri) dedicarono pagine originali al quattro mani, concedendogli in tal modo quella dignità artistica, storica e sociale che per molto tempo non gli era stata riconosciuta. E molti grandi pianisti, da Kalkbrenner a Moscheles, da Field a Chopin, da Talberg a Liszt dedicarono larga parte della loro attività artistica e concertistica a tale pratica allargandola addirittura nella sua concezione originale. Ritengo dunque, che questo sia un percorso musicale da affiancare a quello solistico e da provare per ogni pianista, un percorso che allarga le vedute, che permette una conoscenza più approfondita di altri campi della musica e permette, perché no, un miglioramento tecnico derivante da un modo di suonare totalmente diverso rispetto al solista.
(Adolfo Capitelli, 9 giugno 2013)
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